Alla scoperta del Vin De La Neu e del Montecristo n.4.
Cosa hanno in comune la Val di Non e l’isola di Cuba? Apparentemente nulla, si potrebbe pensare: terre lontane per culture diversissime, storie che a malapena si incrociano nei destini politici del passato, climi e atmosfere che rimandano a suggestioni totalmente capovolte. Eppure, in quei quasi 9000 km di distanza, una linea sottile lega questi due luoghi dalla forte identità. È la cura e l’attenzione dedicata alle cose, è l’importanza che la terra assume nella cultura e nella tradizione popolare e che diventa sentire comune, un “sentimento sociale” potremmo dire.
Ma andiamo per ordine. Quando Evangelista Pice, appassionato di sigari e già Presidente del Cigar Club Terra di Bari per due mandati consecutivi, mi ha proposto una degustazione di vino abbinata a un sigaro, un brivido di perplessità l’ho avuto.
Forse a causa di quel purismo dogmatico che vuole che il vino debba essere “vivisezionato” più che “vissuto”, studiato più che ascoltato, come se fosse un liquido e non una materia viva.
Alla fine ho accettato l’invito, che sembrava quasi una sfida all’ascolto, ad abbandonare preconcetti di sorta per mettermi in un atteggiamento ricettivo.
Abbiamo quindi deciso di dare il via a questa esperienza e il risultato è stato quasi sorprendente.
Il vino scelto è stato il Vin de la Neu, ovvero il Vino della Neve, un prodotto da viticoltura eroica, frutto dell’impegno, di anni di studio e del coraggio da vendere di Nicola Biasi, produttore di questo straordinario vino, che a ottobre riceverà il premio come “Miglior giovane Enologo d’Italia”, durante l’importante manifestazione Vinoway Wine Selection, che premia i migliori vini del Belpaese.
Una varietà bianca di Johanniter quasi sconosciuta in Italia, costituita nel 1968 da Johannes Zimmerman presso l’Istituto Statale di viticoltura di Friburgo, in Germania: un incrocio ottenuto da padre derivante da Riesling e Seyve Villard 12481 e madre da Pinot Grigio e Chasselas.
Un vino eroico, che nasce nel cuore delle Dolomiti, lì dove fino a neanche tanto tempo fa si pensava potessero prodursi solo mele e dove l’ambizione di portare la viticoltura ad alta quota era vista come una follia.
Ma come spesso accade a chi ha sogni coraggiosi e tenacia da vendere, e un bagaglio di studi e sperimentazioni non indifferente, quella sana follia si trasforma in realtà, dando alla luce una vera e propria perla italiana.
Una rarità quella del Johanniter, solo recentemente autorizzata alla coltivazione, che ha fatto nascere, a quasi 1000 metri di altezza, un vino prezioso, solo 518 bottiglie per l’annata assaggiata, quella del 2017, dal colore giallo limone con sfumature verdognole, dal sapore fruttato, con spiccate note di fiori e agrumi e, all’inizio soprattutto, quel forte cenno di idrocarburi, proveniente da matrice di Riesling, quasi a sottolineare che questo non è un bianco per tutti. Un vino elegante e di carattere, con quella sapidità che si fa apprezzare senza allontanare dalla bocca, dal naso e dal cuore i profumi di una terra meravigliosa. come la Val di Non.
E per sottolineare Il Vin de La Neu è stato scelto un Montecristo n.4, un grande classico della fumata lenta, in grado di non tradire nessuno. Una forza media per questo sigaro che, nel nome, riporta al romanzo di Dumas e alla discesa del suo protagonista, Dantès, nel suo inferno privato, prima di riscoprire il valore umano del perdono.
Soprattutto un sigaro franco, che ha saputo richiamare la mineralità del vino della neve e sottolinearne il suo bouquet floreale ed erbaceo con una palette aromatica e “piccante”, sempre diversa nei vari momenti della fumata e della degustazione.
Sigaro e vino si sono presentati all’inizio con il loro forte carattere, duellando quasi per far bella mostra di sé, per poi sciogliersi in un abbraccio evolutivo che, nel cambiamento che ciascuno di loro ha mostrato, ha saputo armonizzarli, senza spogliarli della loro identità.
Vino e sigari non solo sono possibili ma possono offrire un’esperienza nuova di “assaggio”. Un’esperienza in cui a dominare è il principio della lentezza, del riappropriarsi del proprio tempo per dare importanza ad ogni sorso o boccata, del piacere di una convivialità senza fretta, del racconto di storie e del “raccolto di suggestioni”, in un’atmosfera che basta a se stessa. Un’esperienza che ha insegnato come due terre dal sapore così diverso non sono mai state così vicine.
Carmela Loragno